Urban mining, una miniera ‘circolare’ nel cuore delle nostre città

La crisi delle materie prime, il difficile contesto internazionale, il complicato reperimento e gestione dell’energia e la crisi climatica sono alcune delle sfide più impellenti a cui dobbiamo far fronte. Per superarle occorrono nuovi modelli economici, basati su tecnologie innovative e processi produttivi circolari.

Dai rifiuti delle nostre città, ad esempio, è possibile estrarre risorse utili al ciclo produttivo. Si chiama Urban mining (“estrazione urbana”) ed è un processo virtuoso che consente di ricavare dai rifiuti metalli e materiali preziosi che diventano materie prime secondarie, entrando nell’economia circolare.

Pensiamo ai nostri smartphone. Al loro interno si trovano, tra gli altri, rame, argento, oro e platino, senza contare che la batteria a ioni di litio contiene cobalto e terre rare, ormai per antonomasia i “metalli delle nuove tecnologie”.

Lo smartphone: una miniera di metalli rari e preziosi

Non è un caso se ci si riferisce principalmente ai RAEE quando si parla di Urban mining. I rifiuti elettronici sono una vera e propria miniera di metalli rari e preziosi. E, secondo il The Global E-Waste Monitor 2020, sono in costante crescita: si stima che nel 2030 arriveremo a circa 75 milioni di tonnellate, ossia 9 chilogrammi pro capite prodotti ogni anno, ben 120 milioni di tonnellate nel 2050.

Ogni anno finiscono in discarica oltre 40 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, ma solo il 20% circa viene riciclato a livello globale, anche se il tasso di riciclo europeo è del 42,5%.  Senza considerare che l’estrazione e la lavorazione di minerali metallici e non metallici, combustibili fossili e biomasse hanno un impatto ambientale drammatico, con il conseguente inquinamento di suoli e falde acquifere. Circa il 50% delle emissioni globali di gas-serra e oltre il 90% della perdita di biodiversità e dello stress idrico è dovuto a questi processi.

Ecco perché diventa fondamentale recuperare i metalli contenuti all’interno di smartphone, televisori, schede elettroniche e microprocessori, piuttosto che estrarli dalle profondità della terra o degli oceani.

Tra i rifiuti delle nostre città ci sono concentrazioni molto maggiori di metalli preziosi e rari rispetto ai giacimenti minerari. Basti pensare che, da una tonnellata di schede elettroniche, si possono ricavare più di 2 quintali di rame, oltre 46 chilogrammi di ferro, quasi 28 di stagno e alluminio e circa 18 di piombo. Oltre a quantità minori di argento, platino e palladio.

Ma non ci sono soltanto gli scarti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. È possibile reperire materie prime secondarie anche da rifiuti urbani, scarti da costruzione e demolizione, discariche, veicoli fuori uso (una vettura a fine vita viene riciclata per circa l’85% dei suoi materiali).

Tutte risorse che dovremo sfruttare, come prevede anche l’agenda 2030 dell’Onu (“Obiettivo 11: Città e comunità sostenibili”), per “ridurre l’impatto ambientale negativo pro capite delle città, in particolare riguardo alla qualità dell’aria e alla gestione dei rifiuti”. In sintesi: dobbiamo fare meglio con meno: aumentare lo sviluppo economico e il benessere umano, diminuendo l’uso delle risorse e il degrado ambientale.

Leggi anche: Verso una filiera italiana per il recupero di materiali nobili dai cellulari. Il progetto di Enea

di Antonio  Carnevale

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