Dal net zero alla riforestazione. L’impresa di riconoscere il greenwashing

Fuorviare il consumatore per convincerlo a comprare un prodotto. O tinteggiare di verde il proprio business model per evitare di affrontare le conseguenze dell’impatto climatico del ciclo produttivo. Tra bollini e certificazioni ambientali, spot accattivanti e termini che evocano la sostenibilità, ogni giorno si fa più complicato riconoscere il greenwashing. Tra promesse di un futuro a emissioni zero (Net zero) e impegni a compensare la propria impronta carbonica, sono tanti gli esempi dichiarazioni ambientali che, per incompletezza o mancanza di prove, non corrispondono alla realtà.

Riconoscere il greenwashing nei messaggi pubblicitari

Una recente revisione di 500 siti web commerciali da parte del governo britannico ha rilevato che il 40% dei claim ambientali è in qualche modo fuorviante. L’uso di termini come “sostenibile” e simili non è accompagnato da informazioni pertinenti e complete sui danni ambientali o su come li si riduce. Un’altra espressione poco chiara è carbon neutral, per esempio, che non significa che un’azienda abbia zero emissioni di carbonio.

L’organizzazione tedesca NewClimate Institute ha analizzato i piani climatici di 25 grandi aziende e ha scoperto che molte di loro hanno sopravvalutato la misura in cui le loro azioni avrebbero ridotto le emissioni di carbonio. Dal report emerge che per quanto riguarda gli obiettivi Net zero, le aziende analizzate si impegnano in media a ridurre le emissioni solo del 40%, non del 100% come implicitamente suggerisce Net zero. Solo 3 aziende – Maersk, Vodafone e Deutsche Telekom – si impegnano verso la decarbonizzazione di oltre il 90% delle emissioni dell’intera catena del valore entro gli anni promessi.

L’anno scorso la compagnia Travelers aveva promesso per la Giornata della Terra di diventare carbon neutral entro il 2030, un obiettivo in linea con l’accordo sul clima di Parigi di limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5° C. L’azienda ha dichiarato che l’obiettivo includeva le emissioni generate direttamente dalle sue operazioni (Scope 1) e indirettamente dall’energia acquistata (Scope 3), escludendo però tutte le emissioni generate dalle società in cui Travellers investe o fornisce polizze assicurative.

Come fa notare il Washington Post, più di 20 importanti assicuratori che fanno parte della Net-Zero Insurance Alliance delle Nazioni Unite hanno iniziato a monitorare e segnalare le emissioni di Scope 3 e si sono impegnati a includerle nei loro impegni per raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2050.

La classificazione Scope 3 comprende tutte le emissioni connesse all’attività dell’azienda come le emissioni relative alla mobilità dei dipendenti, alla catena di fornitura, all’utilizzo dei beni prodotti. Nonostante costituiscano la maggior parte delle emissioni della quasi totalità delle compagnie, Scope 3 è spesso l’impronta di carbonio più difficile da misurare. Per questi motivi, i governi e i gruppi che definiscono gli standard non sono d’accordo sul fatto che le aziende debbano essere obbligate a includere queste emissioni tra i target climatici.

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di Simone Fant

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