Lo sguardo in prospettiva, al di là dell’immediato, sia nello spazio che nel tempo, e la scrittura divulgativa di una scienziata come Laura Conti è quello che oggi manca. Infatti Laura non c’è. È morta il 25 maggio del 1993. Se fosse ancora qui tra noi oggi avrebbe più di cento anni, essendo nata il 31 marzo del 1921, a Udine, qualche anno dopo la fine della prima guerra mondiale, da una famiglia costretta a cambiare più volte città: da Trieste a Verona e poi a Milano, perché il padre di Laura era un antifascista. Lei, figlia unica, di quegli anni aveva un ricordo limpido, come scriveva nei suoi manoscritti: “La mia divenne una famiglia che si opponeva al mondo, disperata e molto sola”.
Crescendo la sua famiglia divennero le amicizie, le compagne e i compagni dei partiti dove militava, le centinaia di persone che incontrava nei luoghi di lavoro e di attivismo, nelle scuole dove insegnava e in quelle dove andava a spiegare alle bambine e ai bambini come funziona il pianeta Terra in cui siamo capitate.
Attiva nella Resistenza come partigiana, staffetta con il nome di Luisa e poi deportata in un campo di concentramento, è stata dirigente – spesso non allineata e non convenzionale – del più grande partito comunista occidentale e al tempo stesso medica impegnata nella difesa della salute in fabbrica e nei luoghi di lavoro, amministratrice pubblica e narratrice di talento. Non si è mai sposata, non ha avuto figli, viveva ospite – come amava ripetere – delle gatte che popolavano la sua casa.
Dopo la sua morte Laura Conti è sparita in gran parte anche dalla memoria pubblica del nostro paese, il patrimonio culturale di Laura Conti non è stato né valorizzato, né capitalizzato. Non c’è nei libri di storia, non c’è nei luoghi dove la storia si fa.
I partiti, le associazioni, i movimenti che lei ha attraversato, dopo la sua morte hanno cambiato passo e l’hanno dimenticata, cancellata, o prelevano farina dal suo sacco senza mai citarla. Hanno custodito il suo nome per un premio di giornalismo ambientale e per la miglior tesi di laurea, un piccolo giardino a Milano, una strada e una scuola media, qualche circolo di questa o quella associazione ecologista. Alcune donne, giornaliste e ricercatrici provano a tenere viva la sua memoria, mentre la maggior parte degli uomini sembra aver rimosso, forse proprio perché non si rivolgeva loro come fosse una madre, ma come la donna che era, una donna libera, spregiudicata, coraggiosa, scomoda, di eccezionale vitalità e combattività.
Laura non c’è nei grandi discorsi ambientalisti ed ecologisti della sinistra italiana degli ultimi trent’anni eppure Laura è stata marxista, comunista e insieme ambientalista, divulgatrice e parlamentare. Era tanto, forse per molti era troppo. E di più, perché era anche romanziera, affabulatrice, scrittrice compulsiva e appassionata lettrice, curiosa della curiosità stessa. Ma sapeva essere anche pedante, volendo fastidiosa e polemica, mai condiscendente, studiosa puntuale, attenta, scrupolosa, addirittura assillante. Era soprattutto un incredibile spirito critico, spiazzante, eretica, bizzarra.
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di Barbara Bonomi Romagnoli e Marina Turi
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