Tutti i danni che fa la plastica in giro per il Pianeta

La produzione indiscriminata di plastica si unisce alla mancanza di strutture idonee allo smaltimento e a una quasi totale assenza di adeguate politiche sul riciclo. Dal Sud Est asiatico al Mediterraneo, un viaggio tra i rifiuti polimerici che riempiono le acque attorno al mondo. E i danni alla salute in aumento

 

“Le sfide poste dalla plastica sono in larga misura dovute al fatto che i nostri sistemi di produzione e consumo non sono sostenibili. La pandemia Covid-19 e il cambiamento climatico hanno amplificato l’attenzione pubblica per la crisi dei rifiuti di plastica che dobbiamo affrontare”. La consapevolezza con la quale Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, è più un auspicio che una reale sensibilità diffusa. Nel recente rapporto dell’EEA, intitolato non a caso “‘Plastics, the circular economy and Europe′s environment — A priority for action“, si “esamina la produzione, il consumo e il commercio di materie plastiche, l’impatto ambientale e climatico della plastica durante il loro ciclo di vita”. Il rapporto poi “esplora la transizione verso un’economia circolare della plastica attraverso tre percorsi che coinvolgono i responsabili politici, l’industria e i consumatori”. I decisi passi in avanti in Europa (anche in Italia), e quelli parziali e contraddittori degli Usa, devono però tenere conto del resto del mondo. Ancora molto indietro in questa battaglia decisiva per il Pianeta. Prendiamo ad esempio Paesi come Cina, Filippine, Thailandia, Vietnam, Indonesia. Unite da una immaginaria linea fatta d’acqua. Fiumi e mari che attraversano e circondano il Sud est Asiatico, l’Indocina e la terra del Dragone diventati, nel tempo, l’emblema dei danni che la plastica arreca al Pianeta.

 

Uno sguardo verso Est

Parliamo di Paesi in cui industria e governi non hanno avuto scrupoli a immettere nel mercato interno enormi quantità di manufatti plastici. In alcuni di questi Paesi – a partire dalla Cina che poi non a caso ha deciso di bloccarne l’importazione – si è andati anche oltre. Per decenni sono arrivate dall’Occidente ingenti quantità di rifiuti, plastici e non solo. Viaggi alimentati da condizioni economiche altamente vantaggiose, senza alcuna verifica sul reale trattamento e sulla destinazione finale di quei rifiuti. La scarsa esistenza di infrastrutture adeguate per raccolta e riciclo – locali e nazionali – in grado di gestire numeri in continuo aumento, ha chiuso definitivamente questo circolo vizioso e dannoso, per gli ecosistemi e la nostra salute. Per comprenderne meglio la portata, nel 1964 si producevano circa 15 milioni di tonnellate di plastica, oggi siamo arrivati a 400 milioni, di cui circa una decina di milioni di tonnellate finiscono irrimediabilmente in mare. E il trend della produzione è in costante crescita, al punto che si prevede un aumento del 30-36% nei prossimi sei anni.

 

Mediterraneo, plastiche e microplastiche da scoprire

Il problema della plastica dispersa in natura non risparmia neanche il Mediterraneo. Un mare chiuso, come noto, al cui interno oggi navigano plastiche e microplastiche in concentrazioni tali da fare invidia a quelle presenti nei vortici oceanici. Secondo uno studio Wwf del 2019, i Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum generano circa 24 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica ogni anno. Di questi, solo il 72% viene gestito, del resto si sa ben poco se non che una parte finirà per galleggiare attorno alla costa. Sempre da questo studio, si apprende che il 65% della plastica impiegata nei vari ambiti diventerà rifiuto entro un anno. Non si fa fatica a crederlo se si tiene in considerazione il packaging che accompagna la stragrande maggioranza dei prodotti in commercio e il dilagare dell’usa e getta (non solo di plastica ovviamente).

 

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