Spazzatura spaziale

I detriti spaziali sono un problema sempre più urgente. Da sessant’anni lo spazio si sta riempiendo di detriti artificiali. Rottami di vecchi razzi, satelliti in disuso, detriti di veicoli spaziali che viaggiano a velocità altissime divenendo vere minacce per le nuove missioni spaziali. 

Da oltre sessant’anni le agenzie spaziali lanciano satelliti nello spazio, dando origine al problema della cosiddetta “spazzatura spaziale”. Se qualcosa non viene fatto al più presto, si raggiungerà un livello sempre più critico per le apparecchiature orbitali e per le attività extra veicolari necessarie alla loro manutenzione.

L’essere umano è riuscito nell’ardua impresa di trasformare in discarica anche l’orbita terrestre. Sono oltre 34.000 gli oggetti fluttuanti e non esiste alcuna regolamentazione internazionale che obblighi gli operatori al recupero di detriti e dispositivi abbandonati. Distruggerli non è tra le alternative perché questo non farebbe altro che creare detriti ancora più piccoli.

Ma facciamo un passo indietro. Nel 1957, iniziò ufficialmente l’era spaziale con il lancio del primo satellite, lo Sputnik 1. Costruito e orbitato dall’Unione Sovietica, il lancio del satellite russo costituì un primo passo di grande importanza per la storia del volo spaziale umano. Sputnik 1, progettato per emettere impulsi radio, era una “semplice” dimostrazione tecnologica pionieristica.

Dal lancio di Sputnik, sono stati effettuati più di 5.450 lanci nello spazio da oltre 40 nazioni, esclusi i lanci falliti. Inoltre, si stima che negli ultimi sessant’anni siano avvenute più di 500 rotture, esplosioni o collisioni.

Da ciò si può immaginare la quantità di detriti che si sono frammentati nel tempo diventando “spazzatura spaziale” orbitante.

Questi detriti sono una minaccia per le nuove missioni spaziali e anche per i satelliti già presenti in orbita. Attualmente, i detriti sono regolarmente monitorati e catalogati dalla Space Surveillance Network (SSN) del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.

Alcuni detriti in orbita bassa si polverizzano rientrando nell’atmosfera terrestre. Altri, invece, sono troppo lontani per rientrare nell’atmosfera e rimangono in orbita per moltissimi anni (anche secoli).

“Se un detrito, anche uno molto piccolo, colpisse un altro oggetto, come un satellite, lo farebbe esplodere a causa della grande velocità a cui viaggia” – afferma Luisa Innocenti, Capo del Clean Space Office dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea. “L’impatto creerebbe a sua volta un nuvola di nuovi detriti. Quindi anche gli oggetti più piccoli non vanno trascurati”.

I detriti spaziali in orbita viaggiano ad un’elevatissima velocità (più alta di quella di un proiettile) e questo aumenta la possibilità di causare danni al satellite e alle persone anche con detriti di piccolissime dimensioni (meno di un millimetro).

Mentre vengono sviluppate diverse strategie di mitigazione per ridurre la spazzatura spaziale, il monitoraggio dei pezzi che presentano il maggior rischio di collisione rimane la miglior scelta per proteggere le missioni in orbita. Ecco perché le agenzie spaziali e le organizzazioni di monitoraggio ritengono opportuno tracciare gli oggetti in orbita allertando in anticipo i centri di controllo sulle potenziali collisioni. In questo modo, le missioni operative possono regolare la loro orbita per uscire dalla traiettoria di impatto.

Ogni anno, i rappresentanti degli Stati membri delle Nazioni Unite e le organizzazioni preposte si incontrano con il sottocomitato scientifico e tecnico del COPUOS (Commissione delle Nazioni Unite sull’uso pacifico dello spazio extra-atmosferico) per scambiare informazioni sulle loro attività di ricerca sui detriti spaziali.

“Se un detrito, anche uno molto piccolo, colpisse un altro oggetto, come un satellite, lo farebbe esplodere a causa della grande velocità a cui viaggia” – afferma Luisa Innocenti, Capo del Clean Space Office dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea. “L’impatto creerebbe a sua volta un nuvola di nuovi detriti. Quindi anche gli oggetti più piccoli non vanno trascurati”.

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