Era il 1969 e durante una conferenza di San Francisco l’attivista per la pace John Mc Connell propose di onorare la madre Terra e il concetto di pace con una giornata dedicata, che dal 22 aprile dell’anno successivo avrebbe ricordato agli esseri umani la limitatezza delle risorse naturali a disposizione. Nasceva la giornata mondiale della Terra. Tuttavia, proprio da quel 1970, secondo i dati del Global Resources Outlook 2019, l’estrazione di risorse è più che triplicata (da 27 miliardi di tonnellate a 92) ed entro il 2060 l’uso globale di risorse materiali potrebbe raddoppiare a 190 miliardi di tonnellate.
Solo negli ultimi sei anni, tra la COP21 di Parigi nel 2015 e la COP26 di Glasgow, il think-tank Circle Economy ha calcolato che sono state consumate globalmente cinquecento miliardi di tonnellate di risorse. Nonostante il tema sia spesso dimenticato ai meeting per il clima, sono proprio i processi di estrazione, lavorazione, consumo e smaltimento dei materiali ad emettere la maggior parte dei gas a effetto serra (circa il 70%).
Alla voce “danni ambientali causati da uso eccessivo di risorse naturali” sembra che siano gli Stati Uniti ed Europa ad essere i maggior responsabili per numero di abitanti. Nella giornata mondiale della Terra, ricordiamo un importante studio pubblicato sulla rivista Lancet Planetary Health, secondo il quale gli Stati Uniti sono colpevoli per il 27% dell’eccesso di uso di risorse, seguiti dall’Unione europea (25%) che includeva il Regno Unito al momento delle analisi. Altri Paesi ricchi come Australia, Canada, Giappone e Arabia Saudita sono collettivamente responsabili del 22%, mentre i più poveri del sud del mondo solo dell’8%.
Nel computo della quota di utilizzo delle risorse, 58 paesi tra cui India, Indonesia, Pakistan, Nigeria e Bangladesh sono rimasti invece entro i propri limiti di sostenibilità. L’autore dello studio, Jason Hickel dell’Istituto di Scienze e Tecnologie Ambientali di Barcellona, ha dichiarato che se venissero bandite le pratiche di obsolescenza e incentivati il riutilizzo, la riparazione, e il riciclo, lo spreco di risorse si ridurrebbe drasticamente.
Le disuguaglianze globali si notano anche alla voce ”Material Footprint”, la quantità di materie prime necessarie per coprire la domanda interna di un Paese. Quelli ad alto reddito consumano in media 27 tonnellate di materiale pro capite; 60% in più rispetto alla fascia di reddito medio-alta; e 13 volte in più del gruppo a basso reddito. Il livello pro capite di consumi nei Paesi ad alto reddito sono, a seconda della categoria di impatto, dalle tre alle sei volte più grandi di quelli dei Paesi a basso reddito.
“L’intensità del materiale” (Material Intensity) invece è un valore calcolato per valutare la produzione, la lavorazione e lo smaltimento di un’unità di un bene o servizio. Grazie all’implementazione di un’economia circolare secondo le proiezioni dell’OCDE il valore decrescerà ad un tasso dell’1,3% all’anno.
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di Simone Fant
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