Nella selva, è proprio il caso di dirlo, di giornate dedicate a specifici temi, il 22 giugno è la giornata mondiale dedicata alle foreste pluviali. È stata istituita nel 2017 da Rainforest Partnership, un’organizzazione ambientale statunitense che si batte per la tutela e il ripristino delle foreste pluviali attraverso due fronti: la collaborazione con le comunità locali dell’America Latina e la sensibilizzazione della popolazione che non vive a quelle latitudini. Sui suoi canali social, da qualche giorno la ong invita alla mobilitazione.
Proprio il 22 giugno offrirà un “vertice globale della foresta pluviale” con “16 ore di programmazione da oltre 40 organizzazioni che esplorano soluzioni di conservazione del patrimonio boschivo da ogni angolazione, tra cui finanza, storytelling, azione giovanile, coinvolgimento delle comunità, innovazione e altro ancora”. L’incontro si svolgerà in modalità miste, attraverso “pannelli dal vivo, proiezioni di film, workshop, sessioni di networking e altro ancora”.
Per partecipare agli eventi basta visitare il sito www.worldrainforest.org (è in inglese), mentre sui social gli hashtag più ricorrenti sono #WorldRainforestDay #WRD2022 #ProtectRainforest. Ma perché è fondamentale guardare all’impatto olistico, quando si parla di foreste pluviali? E perché fondamentale ripristinare ecosistemi così preziosi?
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Come stiamo notando da ormai un mese anche in Italia, il riscaldamento globale è ormai una realtà con cui dover fare i conti. Vale lo stesso per le foreste pluviali, le quali hanno subito, a partire più o meno dal 1980, gli effetti dei cambiamenti climatici che nel tempo sono andati sempre più a peggiorare mettendo in serio pericolo l’ecosistema naturale nella sua interezza. Ad oggi, come sappiamo, la situazione è ulteriormente aggravata a causa del mancato raggiungimento dell’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura del pianeta entro i 2°C, fissati dagli Accordi di Parigi (la Cop21) nel 2015.
Il professore David Bauman, docente alla Scuola di Geografia e Ambiente presso l’Università di Oxford, fa notare nei suoi studi che gli alberi delle foreste pluviali, soprattutto quelle australiane e dell’Amazzonia, stanno morendo a un ritmo due volte superiore rispetto al passato: diventa quindi di fondamentale importanza agire velocemente per centrare l’obiettivo principale del Trattato di Parigi. In caso contrario, addirittura, si potrebbe creare il rischio secondo cui le foreste pluviali potrebbero diventare degli agenti inquinanti poichè il riscaldamento globale influenzerebbe il normale processo di fotosintesi portando gli alberi delle foreste pluviali a produrre anidride carbonica invece di ridurla per immettere ossigeno nell’atmosfera.
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di Francesco Di Martino
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