Intervista alla voce dei Sottotono sul Docufilm promosso da Erion WEEE in collaborazione con Libero Produzioni, che verrà presentato, con un’anteprima cinematografica, il 10 maggio a Roma
Tormento è uno dei padri del rap in Italia. Tanto basterebbe alla sua presentazione se non fosse che nel suo palmares l’MC, nato a Reggio Calabria nel 1975, conta una trentennale carriera iniziata nel 1994 con l’album Soprattutto sotto, al quale, nel tempo, se ne aggiungeranno altri 13, tra quelli pubblicati con i Sottotono, da solista e con la formazione dei Siamesi Brothers accanto al fratello Esa e in collaborazione con altri grandi nomi dell’hip hop made in Italy, come Primo Brown. Tormento è uno dei volti musicali di “Materia Viva”, il docufilm promosso da Erion WEEE in collaborazione con Libero Produzioni, per sensibilizzare i cittadini italiani sui temi della sostenibilità, dell’economia circolare e dei Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE) Nel corso della sua intervista, l’artista ha improvvisato un rap dedicato al corretto riciclo dei RAEE.
Avresti mai pensato di chiudere delle rime con parole come “isola ecologica”, “riciclare” e “RAEE”?
Non ci ho pensato neanche in gioventù, nonostante a quel tempo si fosse diffuso un forte sentimento per l’ambiente. Erano gli anni del disastro di Chernobyl, che ci aveva dato un assaggio dei drammi che avrebbero potuto colpire il Pianeta. Mi spiace che oggi il rap mainstream sia entrato un po’ in un circolo vizioso e monotematico, che sembra quasi non permettere alla musica di esprimersi su temi che non siano i sentimenti, l’amore, la cattiveria, la rabbia. Credo che anche per argomenti come l’ambiente, la musica possa rappresentare un mezzo di comunicazione molto potente. Ecco perché amo molto l’underground.
La vecchia scuola era diversa?
Esprimerci senza schemi è sempre quello che abbiamo sempre cercato di fare. Io sono cresciuto con Esa, che è un artista molto poliedrico. Abbiamo tentato di portare l’hip hop su piani espressivi in cui non era mai stato, come quando abbiamo trasformato il detto “hip hop is dead”, in “hip hop is daddy”, nel momento in cui siamo diventati papà.
Conoscevi l’acronimo di Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche prima della tua partecipazione a “Materia Viva”?
Non sapevo cosa volesse dire RAEE prima della mia intervista per il docufilm che, anche per questo motivo, è stata per me molto istruttiva.
Durante il Docufilm scopriamo un Tormento inedito e amante della natura.
Il mio amore per le piante nasce dalla cultura jamaicana. Quando ho visitato quella terra, ho sentito una particolare vicinanza spirituale con i rasta che dimorano nelle montagne. Alcune popolazioni vivono un contatto con la natura che è completamente diverso dal nostro. Nel momento in cui ci si avvicina alle piante, si scopre un mondo che ha milioni di anni di evoluzione rispetto all’essere umano e, quindi, raffigura un modello a cui aspirare. Anche nel campo della robotica molte innovazioni nascono dagli studi condotti sulle radici, che poi vengono sfruttati per sviluppare i robot. L’evoluzione ha raggiunto dei picchi altissimi che, per assurdo, hanno riferimenti molto semplici.
La natura è semplicità?
Quando si amano così tanto le piante, anche una passeggiata nel verde diventa un’esperienza molto più consapevole. Per me è sempre un effetto forte: più entro nell’anima del bosco, più imparo la differenza fra le varie specie vegetali. I greci, per esempio, si recavano nei querceti prima di partire per la guerra. In Giappone, i dottori prescrivono escursioni in specifici boschi a seconda dei malanni dei pazienti. Anche io faccio delle camminate mirate e sento sempre ciò che gli alberi hanno da esprimere nel momento in cui mi trovo vicino a loro. Scoprire questo mondo è stata una salvezza per me. Tutti noi abbiamo una vita con dei ritmi di lavoro davvero folli e anche essere un artista in Italia è difficilissimo. Gli stress sono tanti, e la natura mi ha fatto capire che c’è qualcosa di più grande a cui apparteniamo e non è il nostro lavoro, né la nostra società.
Nel docufilm ti vedremo “duettare” con un bonsai. Cosa ti lega a questi alberi in miniatura?
In realtà è solo una questione di spazio. Io vorrei un bosco tutto mio, da lasciare aperto alle persone per lo star bene generale. I bonsai li ho scoperti nel momento in cui ho perso Primo Brown, un mio fratello, un grande amico e un indimenticabile artista. Sono stato emotivamente molto male per la sua scomparsa e iniziare a curare questi piccoli alberelli, mi ha proprio salvato. Mettere le mani nella terra ridà una stabilità unica, come passeggiare a piedi nudi su un prato. I bonsai mi hanno insegnato che se da un mondo mentale agitato, di continui pensieri che creano ansia, si riesce a fare un passo indietro verso il corpo, entrando nel ritmo più lento che hanno le piante, allora si possono superare tutti i momenti di agitazione che, come dicevo, prendono tutti e sono spesso causati dalla velocità del lavoro e dalla società pazza in cui viviamo. Quando scopri qualcosa di più grande di cui fai parte, tutto è più rilassato, e devi semplicemente godertelo.
Nel dialogo quotidiano con tuo figlio parlate mai di ambiente? Ricordi una sua domanda sul tema che ti ha fatto particolarmente riflettere?
Molto bello è stato un compito che abbiamo fatto qualche tempo fa sull’effetto acustico che hanno gli alberi in città. Era un’esercitazione particolare che mi ha fatto scoprire una cosa alla quale non avevo mai pensato, ovvero che gli alberi sono importanti non solo perché producono ossigeno, ma anche perché assorbono l’inquinamento sonoro al quale siamo tutti sottoposti. È bello vedere che i giovani di oggi sono un passo avanti, rispetto a noi alla loro età, sugli studi in tema di ambiente. Purtroppo, è una fase un po’ complicata, perché a 12 anni il mito di mio figlio è Rondodasosa, non suo padre (ride), quindi è difficilissimo fargli capire che ci sono argomenti importanti su cui riflettere. Cerchiamo, comunque, tra scuola e casa, di trasmettergli le cose che davvero contano.
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