Chi, almeno una volta nella vita, si è trovato impegnato ad affrontare una ristrutturazione sa bene che, nel corso dei lavori, vengono prodotti decine di quintali di rifiuti e ciò non rappresenta solo un problema di natura ambientale. Lo smaltimento dei rifiuti edilizi rappresenta, infatti, una delle voci di costo che vanno a gravare sul budget: pavimenti e pareti, una volta rimossi, diventano macerie che, come tali, vanno smaltite nei modi previsti per legge. Purtroppo, a dispetto delle sanzioni imposte a carico dei trasgressori, ancora in troppi preferiscono “correre il rischio” e abbandonare, in aree isolate o addirittura in oasi naturali, cumuli di calcinacci proprio per evitare il pagamento dello smaltimento.
Dal punto di vista ambientale, vi è un altro aspetto che, in ogni caso, va considerato: stiamo trasformando un bene duraturo come una parete o un pavimento – che per lungo tempo ha avuto un valore – in un rifiuto!
Ora immaginate cosa accade quando ad essere abbattuto è un edificio intero.
Perché distruggiamo tutto ciò? Perché non ci serve più. Quando possibile alcuni inerti vengono recuperati (anche se spesso si tratta di un riciclo di bassa qualità, come sottolinea il rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, Construction and demolition Waste che parla di downcycling), ma il volume dei rifiuti edili che va in discarica è ancora ingente.
Una soluzione al problema dello smaltimento dei rifiuti edili potrebbe essere raggiunta se ogni costruzione venisse pensata per essere durevole e, al contempo, temporanea: una volta che le esigenze di vita, o più semplicemente i gusti, venissero a mutare basterebbe disassemblare la costruzione.
Ad oggi sono stati pubblicati e realizzati molti progetti architettonici pensati per essere utilizzati nel lungo periodo, ma, al tempo stesso, anche per adattarsi alle sopravvenute necessità grazie all’impiego di strutture flessibili o magari per rispondere in maniera efficace a situazioni di emergenza, come potrebbe accadere dopo una calamità naturale.
Nascono così gli edifici “reversibili” nei quali, i criteri del green building sono applicati nelle fasi di progettazione e di realizzazione al fine di rendere riutilizzabili o riciclabili i materiali adoperati. Ciò in effetti non rende una costruzione temporanea, anzi. L’edificio potrà continuare a durare nel tempo, magari mutando destinazione d’uso o addirittura delocalizzato in altra sede, ma soprattutto senza mai doverlo abbattere.
Fantascienza? Macchè.
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