Cos’è il greenwashing, come riconoscerlo e come difendersi

Greenwashing è un neologismo inglese usato spesso come tale anche in italiano, senza essere tradotto e identifica un “ambientalismo di facciata” ovvero quelle situazioni in cui una strategia di comunicazione è volta a dare un’immagine virtuosa – sotto il profilo dell’impatto ambientale – di un’azienda, un’istituzione o in generale di una organizzazione, anche se a tale quadro descrittivo non corrispondono azioni di pari valore in termini di sostenibilità.

Come riporta wikipedia, il greenwashing è stato definito:

«Una forma di appropriazione indebita di virtù e di qualità ecosensibili per conquistare il favore dei consumatori o, peggio, per far dimenticare la propria cattiva reputazione di azienda le cui attività compromettono l’ambiente»

(Valentina Furlanetto, L’industria della carità, p. 156)

Quando si inizia a parlare di greenwashing

Il termine greenwashing nasce negli anni ‘80 dall’unione del termine green (verde in inglese) e washing, dal verbo to wash, lavare. In inglese già con l’espressione whitewash si indicava l’azione di imbiancare, motivo per cui spesso in italiano greenwashing viene tradotto con “passare una pennellata di vernice verde sopra” ovvero: dare una parvenza green a situazioni che nascondono aspetti non così realmente virtuosi.

Il primo a usare tale neologismo fu l’ambientalista americano Jay Westerveld nel 1986, in relazione all’invito da parte di alcune catene alberghiere verso i propri ospiti a ridurre il consumo degli asciugamani per scopi ambientali quando, secondo Westerveld, l’unico scopo era in realtà legato al risparmio. Alla base di questa richiesta nei casi presi ad esame non vi era quindi una bugia ma dietro a uno spicchio di verità dichiarata “green” solo una questione economica e l’azione non era accompagnata ad altre disposizioni e provvedimenti volti a ridurre l’impatto ambientale delle strutture..

Di tali temi si era già iniziato a parlare negli anni ‘60 con l’espressione “ecopornografia”. Ma il boom vero e proprio – sia di pratiche di comunicazione da “pennellata verde” che di attenzione crescente al fenomeno – si è registrato a partire dagli anni ‘90, quando vengono approvate anche le prime disposizioni in materia.

Risale infatti al 1992 il provvedimento sul tema dell’Agenzia di Protezione Ambientale degli Stati Uniti, a cui ha fatto seguito il Green Claims Code inglese. E per l’Italia? Come riporta Repubblica, ad oggi non vi è un provvedimento specifico e le competenze sono dell’Autorità per la Concorrenza e per il Mercato e dell’Autorità Garante per le Telecomunicazioni a cui si aggiunge quanto normato in maniera generica dal Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

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di Letizia Palmisano

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