Lunedì 18 novembre si è svolto presso la Sala Regina, della Camera dei Deputati, l’incontro “Climate Change e Circular Economy: scambio di best practice tra Norvegia e Italia”. L’evento – organizzato da Trinità dei Monti, Think Tank, ha visto alternarsi sul palco: Marianne Borgen, Sindaco della Città di Oslo, Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente della Fondazione UniVerde, Helene Friis, Direttore di The Explorer, Innovation Norway e molti altri.
Tra gli interventi in programma anche il nostro Danilo Bonato, in qualità di Circular Economy Expert e Member of the High Level Steering Group Raw Materials of the EU Commission.
Il Direttore Generale di Remedia ha dibattuto sul tema dell’economia circolare con particolare attenzione all’applicazione all’interno delle medie imprese. Di seguito, il suo intervento:
“Le medie imprese, solo in Italia ne abbiamo oltre 4mila che valgono 170 miliardi di fatturato e in Italia sono il motore del nostro sistema industriale. E adesso parliamo di economia circolare. Vorrei raccontare in pochi minuti un approccio o meglio una metodologia che sta funzionando in Italia, ma anche in Europa per supportare imprenditori e manager di medie aziende, con fatturato dai 50 ai 200 milioni di euro, per una transizione più rapida.
L’importante quando parliamo di economia circolare è contestualizzarla e quindi far capire ai vertici di queste aziende che sono soggetti economici e che sono parte della soluzione ai grandi temi che stiamo affrontando. In particolare, mi riferisco agli obiettivi per lo sviluppo sostenibile al 2030. So che può sembrare un tema molto distante dalle imprese, in realtà è essenziale per avere un engagement reale.
Questa metodologia fa sì che le aziende identifichino alcuni obiettivi e li facciano propri. Sono diversi e ogni impresa può riconoscersi in alcuni di questi obiettivi. I due più efficaci sotto certi aspetti per le azioni che possono fare le imprese sono: consumi e produzione sostenibile e anche, fondamentale, climate change. Aiutare le imprese a riconoscersi in un percorso che riguarda l’economia e l’ambiente è essenziale. Questo è il primo step, bisogna partire da questa prospettiva altrimenti si perde di forza e di energia nel percorso. Poi, si passa a ragionare di economia circolare nell’ambito di un modello più ampio che è quello della green economy.
Green economy non è uno slogan, non è un settore, è un paradigma economico che cambia la prospettiva dell’impresa. L’imprenditore deve dimostrare che nel suo piano strategico ha messo degli indicatori che riguardano il capitale naturale, che riguardano i sistemi di sussistenza del pianeta. Se non hai questi indicatori non stai facendo green economy, inoltre devi dimostrare che hai un concetto di sviluppo, di una generazione di un benessere di migliore qualità, quindi non solo l’aspetto quantitativo.
Qui c’è il tema dell’inclusione. Uno sviluppo inclusivo che guardi anche a redistribuire valore nella società. Non tante imprese hanno poi alla resa dei fatti, al di là degli slogan, questo tipo di attitudine, calata nella propria strategia. Quando abbiamo colto questo aspetto, allora parliamo di economia circolare che è un di cui della green economy. Tu impresa fai economia circolare se sei in un percorso di cambiamento di economia verde e se questo, si aggancia a degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Questo è il percorso ottimale per rendere stabile e continua la strategia di impresa in un quadro di riferimento di medio periodo.
A questo punto finalmente arriviamo, con gli imprenditori e manager che hanno capito che questo è il percorso, a parlare di economia circolare e ovviamente qui ci sono tanti modelli come quello, ad esempio, della Ellen MacArthur Foundation tra i più conosciuti. L’importante è che l’imprenditore della media impresa esca dalla logica di interventi parziali, settoriali, occorre aiutarlo a capire che il quadro di riferimento che deve sviluppare con i suoi manager riguarda prodotti, processi produttivi e modelli di business, ma insieme. Ci vuole una visione olistica che poi viene implementata per gradi e questo aiuta a recuperar interventi fatti in passato, progetti di efficienza delle risorse, di ecodesign che non vengono contestualizzati in una iniziativa di circolar economy, ma sono considerati progetti settoriali. Il fatto di ricollocarli in un quadro d’insieme aiuta anche ad ottenere entusiasmo all’interno dell’impresa, fa capire che le cose si stanno facendo e aiuta a vedere dove sono le parti da completare, gli interventi da incrementare. È fondamentale avere questa visione integrata di prodotto, processo, modelli di business.
Dopo di che si passa a interventi di aiuto concreto sui progetti. Questi sono calati sulla singola impresa, perché si tratta di un modello che si specializza sulle caratteristiche dell’impresa: sul prodotto, sul mercato, sulla cultura imprenditoriale. Un modello plasmato in statement, in una dichiarazione d’impresa sull’economia circolare: che cos’è per te l’economia circolare? Non cos’è in senso lato. E ogni manager deve conoscere questa dichiarazione. Occorre condividere e diffondere questa visione nell’impresa a tutti i livelli.
E poi si parte. Si parte con sfide che si pongono all’imprenditore e all’impresa: la prima riguarda ovviamente l’ecodesign. L’ecodesign potrebbe sembrare scontato – c’è una direttiva europea, dei regolamenti… – io dico: ragioniamo su riciclabilità, durabilità, riparabilità… concetti che non sono così presenti negli uffici di progettazione. Si tratta di portare degli elementi aggiuntivi nel concepire prodotti che durino di più, che siano fatti per essere riciclati, modulati. Questo è un tema fondamentale.
Secondo strumento: imitare la natura. È possibile ridurre l’impatto sui sistemi naturali andando a introdurre processi produttivi a basse temperature, a basse pressioni che incidano di meno sull’ambiente. È possibile farlo, ad esempio nel settore del riciclo in Giappone hanno delle tecnologie di sequestro di terre rare basate su processi biometallurgici che funzionano benissimo. Capire quindi, se la tua azienda ha la possibilità di sostituire processi invasivi con soluzioni che imitano la natura.
Terza area di grande sviluppo è la disownership, cioè l’idea che l’impresa ha di vendere un prodotto deve tramutarsi nella proiezione un servizio, resta tuo, te lo riprendi alla fine del ciclo di vita, lo riutilizzi, recuperi le parti, le componenti. Dai un servizio. Questo ha dei grossi benefici nell’impiego delle risorse.
Altro strumento essenziale è l’industria del remanufacturing cioè andare a prendere i prodotti a fine vita e riportarli al livello del nuovo con risparmi di materia fino all’80% e risparmi di energia fino al 70%. Non parliamo del riutilizzo in cantina dove smonto e rimonto, è un’industria che in Francia e in Uk va molto forte e che crea occupazione qualificata: tecnici, giovani, occupazione green. E riduce il prelievo di risorse; noi prendiamo dall’estero il 90% delle materie prime. Simbiosi industriale: altro tema fondamentale capire come inserire materia prima seconda, non rifiuto, all’interno del ciclo produttivo per fare i miei prodotti o i prodotti un partner di filiera. È un tema affascinante e molto complesso, va indirizzato sia da un punto di vista industriale sia normativo. C’è ancora molta strada da fare…
E infine tutto un tema che riguarda la capacità di misurare e rendicontare i benefici di questi interventi che è molto debole nelle medie imprese che fanno, ma che poi fanno fatica a imprentare questi strumenti per differenti ragioni.
Per concludere, credo che gli interventi che faremo sulla media impresa italiana ed europea saranno decisivi per una transazione efficace all’economia circolare.”
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