Tra le diverse tipologie di rifiuti che diventano nuova materia prima, una delle più ‘inattese’ è forse il frutto della pulizia delle strade: le terre di spazzamento. Se ormai il riciclo degli imballaggi è esperienza quotidiana, se non ci stupisce più indossare un paio di scarpe o un pile realizzati con il PET delle bottiglie, il recupero dei rifiuti lungo le strade (si chiamano appunto “terre di spazzamento”, e in questo caso “recupero” è più appropriato di “riciclo”, visto che non prevede particolari processi di trasformazione industriale) può lasciare sorpresi. Con la piacevole sensazione – del tutto personale di chi scrive, ovviamente – che se si possono recuperare sassolini, fanghi e foglie raccolti lungo le vie forse gli obiettivi della transizione ecologica e dell’economia circolare sono veramente alla nostra portata. Cerchiamo di scoprire qualcosa in più sui rifiuti di spazzamento e sulle materie prime “trovare per strada”.
Cominciamo col sottolineare che i rifiuti da spazzamento stradale raccolti dalle autospazzatrici contribuiscono alla raccolta differenziata dei rifiuti urbani, ma solo quando sono avviati a recupero: spazzare e portare in discarica, insomma, ovviamente non conta ai fini della differenziata.
Ispra (Rapporto rifiuti Urbani 2020) calcola che nel nostro Paese nel 2019 sono state avviate a recupero 451 mila tonnellate di terre di spazzamento. Il 2,4% del totale della raccolta differenziata dei rifiuti urbani.
Abissale la differenza tra le diverse macroregioni: il Nord recupera 288.000 tonnellate, il Centro 95.800, il Sud 63.700. Una valutazione procapite mostra sempre il Nord in vantaggio, con oltre 10 kg/abitante/anno, 8 il Centro e solo 3 il Sud.
Il recupero delle terre di spazzamento è raddoppiato in meno di cinque anni, passando dalle 215 mila tonnellate del 2016 alle 451 mila del 2019 (+109%).
In realtà “lo spazzamento stradale non è un obbligo previsto per legge, ma è lasciato al buon cuore delle municipalità”, sottolinea Francesco Di Maria, docente di Tecnica di tutela dell’ambiente all’università di Perugia. Quindi non tutti i Comuni si attivano per avviarlo. E non tutti quelli che lo fanno recuperano i materiali raccolti, preferendo portarli in discarica addirittura senza il necessario e obbligatorio pretrattamento (contengono infatti materiale organico putrescibile).
Per questo Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e FISE UNICIRCULAR nell’Italia del riciclo 2020 stimano una produzione di rifiuti da spazzamento stradale pari a circa 1,3 milioni di tonnellate all’anno, e pare senza dubbio – anche solo soppesando le differenze tra Nord e Sud – una stima largamente prudenziale: “È evidente – scrivono i ricercatori della Fondazione per lo sviluppo sostenibile – che la mancata separazione dei rifiuti da spazzamento stradale dai rifiuti urbani indifferenziati, pratica ancora diffusa sul territorio nazionale, determina una sottostima della quantità prodotta”.
Questa sottostima non è solo un problema statistico: la principale conseguenza della sottovalutazione del mercato sono i mancati investimenti per l’adozione di corrette tecnologie di trattamento.
La popolazione effettivamente servita, poi, sarebbe “in un range che va da circa un terzo a circa un quarto del totale nazionale”.
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