Economia Circolare, un orizzonte culturale da raccontare

Il nuovo magazine promosso da Erion e CDCA, Centro Documentazione Conflitti Ambientali, racconta i temi legati alla transizione italiana verso un modello economico sostenibile e virtuoso. Intervista a Raffaele Lupoli, Direttore Editoriale di EconomiaCircolare.com

La transizione europea all’Economia Circolare è una delle grandi sfide politiche e sociali che l’Unione dovrà affrontare nel corso dei prossimi anni. Raccontare questo processo, i suoi protagonisti, i prodotti, i territori, le persone in esso coinvolte è un lavoro fondamentale per creare consapevolezza sulla portata del cambiamento. Economiacircolare.com, magazine promosso da Erion e CDCA, nasce con questa missione. Ce la racconta Raffaele Lupoli, Direttore Editoriale del magazine online.

 

Che tipo di giornale è EconomiaCircolare.com?
EconomiaCircolare.com è una nuova esperienza di giornalismo realizzata grazie al supporto di Erion e a una rete di giornaliste e giornalisti con una lunga esperienza in tema di ambiente e di circolarità. Un giornalismo fatto di analisi, di dati, di misurazione dei risultati economici e delle politiche messe in campo dalle istituzioni nazionali e territoriali. È una testata che vuole fare giornalismo costruttivo, che non è semplicemente un giornalismo delle buone notizie, ma un lavoro che consente di partire dai problemi, analizzare le criticità delle soluzioni in campo e individuare nuove proposte per un cambiamento reale. È un modo di informare che vuole orientare le scelte economiche, quelle aziendali, ma anche le scelte della società e delle città verso una cultura della circolarità. Un giornalismo che si fa carico della complessità, senza banalizzare i problemi, ma facendo divulgazione con un linguaggio semplice, accessibile, che consenta di riflettere sulla necessità di cambiare la nostra impronta sul Pianeta.

 

Perché è necessario informare sui temi dell’Economia Circolare?
Per far crescere la consapevolezza sull’importanza di questo cambiamento di paradigma, di questa transizione ecologica. A volte si ricorre a questi concetti come se fossero degli slogan, dei mantra, esponendoli senza che dietro ci sia un reale pensiero o un costrutto. Noi pensiamo che per rappresentare realmente un nuovo modello organizzativo della società, delle città e delle aziende, l’Economia Circolare debba diventare patrimonio comune. Da qui nasce l’esigenza di un magazine che si rivolga alle aziende e interloquisca con loro per conoscerle meglio, per analizzarne le dinamiche, per raccontare la fatica che si fa per orientare la produzione, la ricerca e l’innovazione verso la sostenibilità ambientale. Allo stesso tempo c’è la volontà di mettere in contatto questo mondo con i cittadini e orientare le loro scelte di consumo verso alcuni prodotti più sostenibili ed ecocompatibili. È importante che sempre più persone sappiano cosa c’è dietro quei prodotti e quali sono i processi messi in campo per raggiungere questo obiettivo di transizione ecologica.

 

Nelle vostre pagine definite l’Economia Circolare come un orizzonte culturale da raccontare. Come avete deciso di farlo?
In primo luogo provando a parlare con tutti. Cioè mettendo insieme coloro che riflettono sulla riprogettazione, senza limitare il concetto all’ecodesign dei prodotti, ma coinvolgendo coloro che pensano alle città del futuro, ai nuovi trasporti. Il tema della riprogettazione è centrale nella narrazione di questo orizzonte culturale. L’economia circolare non è un comparto a sé stante rispetto al settore primario, l’industria, l’agricoltura. Chi ne parla in questi termini mostra di non avere una cultura della circolarità, così come chi afferma che solo una parte dei fondi in arrivo dall’Europa debba essere orientata al ‘green’, come se gli altri fondi potessero continuare a foraggiare attività inquinanti o a sostenere le fonti fossili. È impensabile che mentre si dedica una parte delle risorse (fosse anche la maggior parte) alla sostenibilità, poi si continui a dedicarne un’altra a sistemi che vanno nella direzione opposta. Dobbiamo produrre uno sforzo collettivo capace di orientare ogni azione alla transizione ecologica: senza un rinnovato approccio culturale sarà impossibile ottenere questo risultato.

 

Secondo l’ultimo rapporto realizzato dal CEN e da Enea, l’Italia è prima in Europa per applicazione dell’Economia Circolare. Il documento, però, aggiunge che attualmente nel nostro Paese manca una visione per il futuro. Che cosa serve per implementarla?
Intanto dobbiamo avere consapevolezza di questo primato, perché negli ultimi tempi – lo registra lo stesso rapporto – c’è qualche segnale di rallentamento, anche dal punto di vista degli occupati, e questo è un dato che deve far riflettere. Dobbiamo avere cognizione del fatto che il nostro modello economico, la nostra grande rete di piccole e medie imprese, ha una grossa tradizione da questo punto di vista. Una tradizione di attenzione alla filiera e al territorio, perché non c’è economia circolare senza un territorio di riferimento. Partiamo avvantaggiati, ma ora non dobbiamo perdere questo vantaggio competitivo. Per riuscirci serve una visione condivisa che attualmente fatichiamo a trovare, se non a sprazzi in alcune politiche e in alcuni incentivi. A breve il ministero dello Sviluppo Economico metterà a disposizione nuovi fondi orientati alla circolarità, che rappresentano un presupposto importante per finanziare delle azioni, ma che da soli non sono sufficienti a costruire una visione. C’è bisogno che il sistema discuta e metta in campo obiettivi di breve, medio e lungo termine che coinvolgano il lavoro delle imprese, ma anche la società civile e gli stessi organi di informazione, che provano a dare delle suggestioni e a intravedere i segnali di quel famoso orizzonte culturale.

 

Per molti esperti del settore l’Economia Circolare rappresenta un modello efficace, ma complesso. In una delle prime interviste pubblicate sul magazine, il direttore di Aquafil Giulio Bonazzi ha dichiarato che serve più studio per ottenere materiali più riciclabili. Secondo te cos’altro serve al nuovo paradigma?
Lo studio è alla base di tutto. Ce ne rendiamo conto ogni giorno con il nostro lavoro di giornalisti, che ci dà la possibilità di imparare cose nuove e poi trasferirle ai nostri lettori. Delle risorse abbiamo già parlato: servono a orientare il cambiamento e l’attuale condizione mondiale dettata dalla pandemia offre in tal senso un’opportunità che non va persa. Serve la consapevolezza della necessità di non sostenere più l’economia lineare. Quindi servono scelte normative che facilitino la vita a chi fa una scelta di sostenibilità, orientando la propria produzione e l’attività di ricerca in questa direzione. C’è bisogno di regole più chiare e univoche, che consentano di rigenerare risorse invece di sfruttarle. L’approccio culturale è molto legato anche al tema dell’educazione dei ragazzi come a quello dell’alta formazione universitaria. Anche su questo aspetto il magazine sta accendendo i riflettori per cercare di capire come deve cambiare l’approccio di chi fa formazione. Perché se prima la scuola economica era quella che dava vita all’estrattivismo, al mito della massimizzazione del profitto, allo sfruttamento delle risorse senza limiti, adesso queste teorie devono essere sicuramente ridiscusse.

 

Quanta consapevolezza c’è fra i consumatori italiani sulla necessità di attuare una transizione a questo modello economico? Stando alle rilevazioni di diversi soggetti – tra cui figurano anche aziende della grande distribuzione che monitorano l’andamento dei consumi – la sensibilità dei consumatori verso la circolarità è crescente ed è aumentata ancora di più in questa fase di pandemia, durante il lockdown. Abbiamo anche degli indicatori diretti legati alla nostra attività. Alcuni dei nostri primi articoli hanno raccolto reazioni positive: molti lettori si sono immedesimati nelle storie, altri hanno apprezzato il racconto di processi che orientano le scelte del consumatore. Questo significa che c’è un’attenzione che va però coltivata, seguita, spiegata, perché una cosa è essere sensibili verso la necessità di preservare l’ambiente, le risorse e la propria salute, un’altra è essere attenti e informati sulla circolarità. Lì entrano in campo strumenti di misurazione senza lo studio dei quali non c’è possibilità di migliorare.

 

A proposito di feedback positivi, l’Ordine dei giornalisti del Lazio ha definito questa impresa editoriale come “una boccata d’ossigeno per quanti credono nel giornalismo professionale”. Quali sono le maggiori sfide da affrontare per offrire qualità al lettore?
Le sfide sono quelle comuni a tutto il mondo del giornalismo che in alcuni casi si sono un po’ perse di vista. Quindi, in primis, la sfida dell’accuratezza, della serietà, dell’autorevolezza. Il valore aggiunto del nostro magazine è quello di non fermarci alla superficie delle storie, raccontandole in maniera sommaria, magari prestando il microfono all’intervistato.  Il nostro impegno è anche quello di andare a cercare le storie più piccole, quelle che non hanno la forza di comunicare, ma hanno un valore pregnante dal punto di vista della circolarità. In questo viaggio possiamo contare sul supporto prezioso di partner autorevoli come Enea, Uni, Ispra, Poliedra e altri soggetti che, nelle prossime settimane, si affiancheranno a noi in questo percorso culturale collettivo.

 

Economia Circolare è un concetto che dev’essere non solo capito, ma anche metabolizzato. Per farlo c’è bisogno di un aggiornamento quotidiano. Perché scegliere di leggere ogni giorno EconomiaCircolare.com?
Perché la nostra ambizione è proprio quella di mettere insieme il racconto della cronaca della circolarità (scelte politiche, iniziative territoriali, approfondimenti) con il racconto delle pratiche virtuose. Chi viene a cercarci ha la possibilità di trovare consigli diretti sulle scelte di consumo, ma anche storie reali di circolarità. Penso alle nostre rubriche “come si fa”, “io scelgo bene”, “consumo circolare” che avvicinano le persone alle aziende e propongono delle azioni positive. Chi ci legge sceglie l’approfondimento, sceglie di capire cosa cambia e come incide sulla vita personale di ciascuno di noi questo tipo di approccio, contribuendo così a realizzare il nuovo orizzonte culturale di cui parlavamo.

 

 

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