Croce e delizia della nostra quotidianità, lo smartphone è di certo uno degli oggetti a cui non riusciamo proprio a rinunciare anche, a volte, quando non sappiamo più cosa farne. Una volta rimpiazzato da un modello più nuovo, più evoluto o solo più funzionante, conserviamo il nostro vecchio dispositivo in un cassetto, forse perché pensiamo di riutilizzarlo prima o poi, non sappiamo di poterlo differenziare nei rifiuti Raee, o temiamo di mettere a rischio la nostra privacy. È quello che emerge da un’indagine commissionata dal WEEE Forum, l’associazione europea che riunisce i consorzi per la gestione dei Raee, secondo la quale circa il 17% delle apparecchiature elettroniche nelle case dei cittadini europei non è più utilizzata. Di queste, il 30% sono telefoni cellulari e console di videogiochi.
Gli esperti ci spiegano che è sbagliato conservare dentro casa questa sorta di necropoli elettronica composta, oltre che dai telefonini, da ogni sorta di apparecchiatura, tra fotocamere digitali, stampanti, lettori CD e DVD, personal computer e così via. Ci dicono che tutti i vecchi dispositivi nei nostri armadi sono miniere urbane da dissotterrare per reimmettere i materiali preziosi contenuti in questi oggetti nel ciclo produttivo, per non sprecare risorse, per non inquinare e per incentivare nuove attività di business del riciclo.
Leggi anche: Urban mining, una miniera ‘circolare’ nel cuore delle nostre città
In effetti, ci spiega Danilo Fontana impegnato nel laboratorio Enea per la valorizzazione delle matrici complesse, una delle difficoltà che si affronta nel processo di riciclo di strumenti piccoli e complessi come i telefonini, è proprio la scarsità di volumi per realizzare dispendiosi impianti per il trattamento. La molteplicità e la miniaturizzazione dei componenti rende il recupero dei materiali preziosi un processo spesso antieconomico proprio perché il flusso di materia non è sufficiente a giustificare i grandi investimenti necessari per il complesso processo di estrazione e riciclo.
Tuttavia il mondo dei piccoli dispositivi elettronici è in fermento e lentamente si muove verso la riciclabilità. Basta guardare alle iniziative delle grandi multinazionali big tech o del commercio on line. Apple, ad esempio, ha di recente partorito due robot, battezzati con il nome di Daisy, proprio allo scopo di smontare e recuperare tutti i componenti del suo prodotto di punta hi-tech, in soli 18 secondi. Installati in Olanda e in Texas, i due robot insieme riescono a riciclare circa 2,5 milioni di iphone in un anno. Si tratta però di una misera quantità, se si pensa che Apple, di iphone nuovi, ne ha venduti 240 milioni solo nel 2021. Ma il messaggio resta chiaro: Apple vuole recuperare e utilizzare materie prime riciclate.
Se guardiamo più a fondo quella che è diventata la nostra estensione digitale, capiamo che l’impresa di riciclare tutti i componenti dello smartphone è ancora più ardua di quello che si possa immaginare. La prima cosa da sapere è che la componente elettronica occupa circa il 20% del peso dell’intero apparecchio. Il resto è costituito dalla scocca (solitamente in plastica), la batteria (composta anche da materiali preziosi e pericolosi), il display, e i metalli ferrosi, in particolare l’acciaio, per esempio delle viti. Per quanto riguarda gli elementi di valore aggiunto elevato, incluse nella piccola percentuale di componente elettronica, la fa da padrona il rame, con circa il 60% del peso. Le materie preziose come oro e argento rappresentano circa lo 0,15% ognuna, mentre ferro, nichel e stagno occupano intorno al 3-4%. Le famose terre rare – ci spiega ancora Danilo Fontana di Enea – ossia il gruppo dei lantanoidi (15 elementi della tavola periodica) sono presenti in tracce nei magnetiz permanenti (nel sistema di vibrazione e negli speaker) e spesso il loro recupero è talmente dispendioso e complesso che estrarre le minime quantità presenti negli apparecchi telefonici risulta una scelta antieconomica.
Un ulteriore ostacolo al recupero dei materiali è la mancanza di accorgimenti di ecodesign dei produttori di smartphone. Non solo non è sempre cosa semplice smontare le diverse componenti del telefonino, spesso incollate invece che incastrate, ma spesso anche i materiali presenti non sono standardizzati rendendo il lavoro del riciclatore tutt’altro che facile. Per esempio, tantalio e palladio, presenti nel condensatore, alla vista non si distinguono. Sarebbe utile che fossero riconoscibili, ci dice ancora Fontana, per fare un esempio, da un apposito colore applicato in sede di produzione.
Leggi anche: L’Unione europea lavora per allungare la vita degli smartphone
di Nicoletta Fascetti Leon
ERION COMPLIANCE ORGANIZATION S.C.A R.L. – Società consortile di servizi amministrativi, informatici, tecnici e di consulenza ambientale e normativa. – Via A. Scarsellini, 14 – 20161 Milano
P.IVA/C.F./Registro Imprese Milano 11344540965
Capitale sociale euro 15.000