Per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica al 2050, non si potrà fare a meno di un’economia circolare efficiente sotto il profilo delle risorse e delle emissioni. Secondo la fondazione Ellen MacArthur, il passaggio alle energie rinnovabili a livello mondiale permetterà di agire sul 55% delle emissioni di gas serra, mentre per ridurre il restante 45% servirà intervenire chiudendo il ciclo nelle catene del valore dei prodotti. Significa colmare i gap e la dispersione dei materiali, puntando in modo crescente sul riutilizzo, proprio per la sua efficienza in termini di risorse ed emissioni di CO2, anche in considerazione della crescita della popolazione mondiale (si stima che arriverà a 10 miliardi entro il 2050).
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Da un’analisi della ong internazionale CDP, attiva nel settore della divulgazione ambientale, condotta su migliaio di imprese europee che valgono l’80% del mercato Ue, meno di una su dieci ha obiettivi di emissioni in linea con gli obiettivi di Parigi. In Italia, a meno di un’inversione di rotta, gli impegni attuali dell’industria ci portano spediti verso un +3°C a fine secolo, contro il target concordato alla COP21 di un riscaldamento ben al di sotto dei 2° entro il 2100. Un punto dolente è legato alle emissioni dette “Scope 3”, quelle cioè indirette derivanti dall’intera catena del valore: secondo CDP, a livello europeo solo un terzo delle aziende dei settori più impattanti le rende note, nonostante la loro rilevanza. Per l’iniziativa Climate Action 100+ “le emissioni Scope 3 restano un punto cieco per le aziende”: quasi la metà delle aziende analizzate dall’organizzazione non le tiene in considerazione nei propri piani per la neutralità climatica. L’introduzione di sistemi di riutilizzo andrebbe a incidere proprio su questo punto.
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L’umanità sta già sfruttando più risorse di quanto i sistemi naturali siano capaci di rigenerare senza andare incontro a gravi conseguenze. L’Earth Overshoot Day, la data entro la quale si sono consumate tutte le risorse disponibili che la Terra impiega un anno a rigenerare, arriva sempre prima. Se le condizioni contingenti della pandemia, provocando un rallentamento dell’economia globale, hanno portato a un ritardo nel 2020, quest’anno si è purtroppo recuperato. Così, se l’anno scorso la giornata era caduta il 22 agosto, quest’anno la data è arretrata al 29 luglio.
La tendenza è chiara e strutturale. Secondo il rapporto dell’OCSE Global Material Resources Outlook to 2060, pubblicato a febbraio 2019, il consumo complessivo dei materiali (dalla biomassa ai combustibili fossili, fino ai metalli e i minerali) raddoppierà entro i prossimi quarant’anni. Gli effetti non riguardano solo l’esaurimento di risorse non rinnovabili o che si rigenerano a ritmi più bassi di quelli di utilizzo. “L’estrazione e la lavorazione di materiali, combustibili e cibo genera circa la metà delle emissioni totali di gas serra e più del 90% della perdita di biodiversità e dello stress idrico”, sottolinea un altro studio, il Global Resources Outlook del Programma ambientale delle Nazioni Unite (UNEP) pubblicato a marzo 2019. Per questi motivi, la ricerca spiega che “è necessario passare da flussi lineari a circolari attraverso l’estensione dei cicli di vita dei prodotti, il design intelligente dei prodotti, la standardizzazione e il riuso, riciclo e rigenerazione”.
Il modello economico lineare e gli stili di vita attuali sono responsabili di un aumento esponenziale dei rifiuti, che la Banca Mondiale ha stimato, in un rapporto del 2018, del 70% al 2050. Molto dovrà essere fatto dalle aziende a livello di rifiuti industriali, che in Europa rappresentano tra l’80% e il 90% del totale della produzione nazionale di rifiuti.
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di Veronica Ulivieri
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