C’è già chi sta imparando a farci i conti, chi le studia da anni, chi ancora non ne conosce il significato e le applicazioni: di certo le materie prime critiche (note anche con l’acronimo inglese CRM) sono e saranno sempre più cruciali nella transizione ecologica che l’Italia e l’Europa dovranno ffrontare. Dalle batterie delle auto elettriche ai pannelli fotovoltaici fino alle turbine eoliche, le materie prime critiche sono materiali e metalli definite critiche proprio per la loro importanza economica e per il rischio di forniture associato a esse.
In questo senso l’Italia è uno dei Paesi più dipendenti dalle importazioni estere. Ne è consapevole il governo Meloni, che a febbraio ha attivato il tavolo interministeriale (tra il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza e il ministero delle Imprese e del Made in Italy) e che da mesi si è intestata la battaglia contro il divieto europeo dal 2035 della produzione di auto a combustione termica perché, come ha detto il ministro Adolfo Urso in un’interrogazione parlamentare del 23 febbraio, “il rischio è quello di passare dalla dipendenza del gas russo alla dipendenza (delle materie prime critiche, nda) dalla Cina“.
Entro fine mese la Commissione europea renderà nota la proposta dell’European Critical Raw Materials Act, la legge che dovrà, tra le altre cose, avviare la costituzione di una rete delle agenzie specializzate dei diversi Stati membri e l’accelerazione dei tempi di autorizzazione per la ricerca e l’estrazione. Proprio su questo punto, vale a dire la necessità di una ripresa sostenibile delle estrazioni minerarie, si è concentrato il documento inviato dall’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale (ISPRA), nella fase di consultazione pubblica del nuovo regolamento europeo che intende disciplinare in maniera più ampia la filiera delle materie prime critiche. Abbiamo intervistato il geologo Fiorenzo Fumanti, ricercatore dal 1999 presso ISPRA e tra gli autori del documento inviato alla Commissione, per capirne di più sulle strategie da mettere in campo per costruire una maggiore autonomia che sia allo stesso tempo sostenibile.
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Al momento i siti individuati sono esattamente 3016. Si tratta di attività minerarie delle quali siamo riusciti ad avere documenti certificati: la nostra è stata una lunga ricerca d’archivio, partendo dalle Riviste del Corpo reale delle miniere (che poi è diventato il Servizio Geologico d’Italia), e poi continuata con l’analisi dei Registri delle concessioni minerarie dei 14 ex distretti minerari, quando ancora conservati, e presso i gli archivi di Stato di varie città italiane. Siamo riusciti a ricostruire, in un lavoro durato qualche anno, la storia mineraria d’Italia corredata da un completo database. Il database è attualmente in revisione e adattamento ai criteri europei, sarà rilasciato a breve e liberamente consultabile sul nostro portale.
di Andrea Turco
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