Il Permafrost si trova nelle zone più fredde del Pianeta, occupando circa un quarto della superficie terrestre. Con il riscaldamento globale, il terreno ghiacciato potrebbe degradarsi rilasciando milioni di tonnellate di agenti inquinanti.
Il permafrost è, di fatto, il suolo perennemente ghiacciato, composto sia da piccoli frammenti di ghiaccio sia da grandi masse, con uno spessore che può variare da pochi metri a centinaia di metri. Il permagelo copre il 25% della superficie terrestre ed è localizzato principalmente in Groenlandia, Russia, Cina, Europa Orientale quasi un quarto delle superfici ma si trova anche sulle Alpi, sull’Himalaya, in Patagonia e sulle vette della Nuova Zelanda.
Il fenomeno del riscaldamento globale, segnalato dagli scienziati di tutto il mondo, è anche fonte di preoccupazione per gli esperti che studiano e monitorano il suolo ghiacciato.
In alcuni punti, il permagelo subisce uno scongelamento dello strato più superficiale durante i periodi più caldi e torna allo stato solido durante l’inverno. Il cambiamento del permafrost interagisce con gli ecosistemi e il clima su varie scale spaziali e temporali, questo implica che con l’aumento della temperatura globale, queste zone di fondamentale importanza per l’equilibrio terrestre sono a rischio: secondo l’ultimo report dell’IPCC la temperatura dei suoli ghiacciati è aumentata a livelli record dagli anni ’80 ad oggi. Questo significa che dovremmo essere pronti per affrontare grandi catastrofi naturali come frane, valanghe, inondazioni e rotture dei laghi glaciali.
Nello specifico, quando la temperatura del terreno ghiacciato sale sopra lo zero, i microrganismi decompongono la materia organica, con conseguente rilascio in atmosfera di pericolosi gas serra come anidride carbonica, metano e protossido di azoto, che a loro volta accelerano ancor di più il riscaldamento globale.
Circa la metà del carbonio organico sotterraneo del mondo si trova nelle regioni settentrionali del permafrost, per questa ragione, gli effetti del cambiamento climatico sono più gravi e rapidi nelle zone dell’Artico.
Gli scienziati descrivono la situazione come un circolo vizioso: i gas emessi dal permafrost accelerano il riscaldamento atmosferico che, a sua volta, accelera lo scioglimento del permagelo.
Secondo lo scenario meno catastrofico, entro il 2100 il permafrost potrebbe diminuire del 30% e rilasciare fino a 160 miliardi di tonnellate di gas a effetto serra, come ha segnalato nel 2015 la ricercatrice Susan Natali, del Woods Hole Research Center.
Inoltre, le ricerche evidenziano che all’aumento delle temperature nel circolo Artico riporterà a galla anche grandi quantità di microplastiche: si stima il doppio rispetto a quelle contenute in tutti gli oceani nel mondo oggi.
Lo stesso vale per i vecchi batteri e virus, quando il ghiaccio si scioglie, questi microrganismi appena scongelati possono ancora causare malattie. Gli scienziati hanno già scoperto, ad esempio, microbi di oltre 400.000 anni nel permafrost scongelato, questi microrganismi sono tornati in vita in laboratorio.
Conoscere il tasso e la quantità di disgelo graduale del permafrost aiuterà i ricercatori a capire quanto velocemente dobbiamo ridurre le emissioni causate dall’uomo.
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