E se il nostro smartphone durasse 10 anni? Le richieste di Right to Repair e il modello Fairphone4

Tutti noi lo sappiamo benissimo: la vita media dei nostri smartphone si aggira intorno ai due anni. Il rilascio di nuovi dispositivi è sempre più frequente e questo comporta una serie di problemi: uno su tutti, gli aggiornamenti software, che a lungo andare pregiudicano le prestazioni dei dispositivi più datati, inducendo gli utenti ad acquistare apparecchi nuovi.

In passato alcuni produttori, tra cui Samsung e Apple, sono stati anche sanzionati proprio per aver causato l’obsolescenza programmata dei loro dispositivi. Inoltre, per proteggere i propri segreti commerciali e la privacy dei consumatori, molti grandi produttori mettono in commercio dispositivi “bloccati”, che possono essere riparati solo nei negozi autorizzati. Le ricerche ci dicono che solo l’11% circa delle persone ripara i propri telefoni quando si rompono. Spesso la sostituzione dello smartphone è la soluzione più semplice e meno costosa per i consumatori.

Ma tutto questo cosa comporta? Ogni anno nell’Unione europea vengono venduti 210 milioni di smartphone, quasi sette al secondo. E i vecchi finiscono nel cestino. Nel 2019 sono stati oltre 50 milioni le tonnellate di rifiuti elettronici ed elettrici (RAEE). Solo il 17% è stato adeguatamente riciclato.

E la situazione è destinata a peggiorare. Secondo uno studio di Yale del 2020 pubblicato sul Journal of Industrial Ecology, infatti, benché la massa totale dei rifiuti elettronici stia diminuendo man mano che i dispositivi diventano più piccoli, l’imminente rivoluzione portata dall’Internet delle cose rischia di far aumentare in maniera esponenziale la quantità dei rifiuti elettronici.

Solo in Italia, nel 2020 sono state raccolte oltre 365mila tonnellate di RAEE, segnando una crescita del 6,4% rispetto all’anno precedente. L’unico modo per invertire la tendenza è porre urgentemente fine alla obsolescenza prematura di questi prodotti. Alla vigilia dell’International E-Waste Day, la quarta edizione della Giornata dedicata alla sensibilizzazione sulla riduzione e sul riciclo dei rifiuti elettrici ed elettronici (Raee) vediamo cosa si muove nel mondo sul fronte della possibilità di allungare la vita ai nostri smartphone.

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Quanto inquina il nostro smartphone?

“Lo smartphone più ecologico è quello che già possiedi”, ha spiegato Cole Stratton, professore associato dell’Indiana University Bloomington, alla CNN. “Gli smartphone sembrano così piccoli e insignificanti – continua Stratton –  quindi a meno che tu non abbia studiato le catene di approvvigionamento e conosca tutto ciò che serve per crearli, non hai davvero idea di quanto siano devastanti per l’ambiente”.

Uno dei principali problemi connessi alla produzione di questi dispositivi elettronici è l’esaurimento di metalli preziosi. Riciclare questi elementi consentirebbe un minore sfruttamento intensivo di risorse naturali ed eviterebbe l’invio dei dispositivi in discarica.

Ogni volta che uno di questi telefoni viene realizzato, crea tra i 40 e gli 80 kg di CO2. Apple, ad esempio, ha reso pubblici i dati relativi al suo ultimo iPhone: l’81% dei 64 chilogrammi di emissioni di carbonio generati da un singolo dispositivo proviene dal solo processo produttivo.

Non è molto: a quanto si legge, l’equivalente di un viaggio in auto da Los Angeles a San Diego (130 miglia). Ma moltiplicato per le centinaia di milioni di iPhone venduti ogni anno, le cifre crescono vertiginosamente. Se a questi poi sommiamo gli innumerevoli altri dispositivi personali che usiamo ogni giorno, ci rendiamo conto degli enormi danni che questo può provocare all’ambiente.

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di Antonio Carnevale

 

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