Chilometri e chilometri di fognature scorrono sotto il manto stradale delle città al servizio di migliaia di edifici. È un sistema fondamentale per la raccolta delle acque di scarico provenienti dagli immobili a uso residenziale, delle strutture commerciali e pluviali e svolge, quindi, una funzione cruciale per l’igiene pubblica e la protezione dell’ambiente. Le condotte fognarie, infatti, consentono di convogliare le acque sporche in modo sicuro e igienico verso i sistemi di trattamento delle acque, prima che esse vengano scaricate nell’ambiente.
C’è chi, in questo sistema, non vede solo una importante riserva idrica nonchè uno strumento per tutelare l’igiene e la salute pubblica, ma anche una potenziale fonte di energia. In che modo? Sfruttando il fatto che la temperatura delle acque reflue sia relativamente costante grazie alla riotermia.
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L’energia rotermica viene prodotta sfruttando il calore delle acque reflue raccolte (sì, quelle provenienti dagli scarichi di docce, lavatrici e wc delle nostre case). È infatti possibile recuperare il calore dagli effluenti installando nelle tubature fognarie scambiatori di calore collegati a pompe di calore. Analizziamo questi sistemi in dettaglio.
L’acqua scaricata dalle abitazioni ha una temperatura relativamente costante durante tutto l’anno (tra 10° e 14° C secondo i dati belgi, mentre in Italia un recente studio ha registrato temperature variabili da 15°C a 25°C) perché l’acqua riscaldata, prodotta in ambito domestico, viene scaricata ancora calda nei collettori fognari.
“Collocando uno scambiatore nella rete di drenaggio” si legge nella sezione energia del portale dell’Unione Europea “l’energia termica contenuta nell’acqua viene estratta prima che la sua temperatura venga portata al livello richiesto tramite una pompa di calore”. Pertanto queste acque reflue possono essere utilizzate come fonte di calore in inverno e possono essere sfruttate per refrigerare gli ambienti d’estate. Nei fatti è una sorta di impianto ibrido (come quello delle automobili) che, quando il fabbisogno energetico è basso, riesce a sfruttare la pompa di calore attraverso la temperatura delle acque reflue. Nel caso in cui aumenti la richiesta di potenza, si attiva il sistema tradizionale.
Tutto perfetto? No, esistono ancora delle criticità. È, ad esempio, necessario – si legge sul portale europeo – prestare attenzione per evitare di estrarre troppo calore da quest’acqua, altrimenti si potrebbe indebolire il processo di depurazione. Deve inoltre essere garantito un flusso ampio e abbastanza costante di acqua e l’altro elemento da tenere sotto osservazione è la possibilità che si creino delle incrostazioni negli scambiatori a causa delle acque reflue.
La tecnologia brevettata dall’azienda belga Vivaqua è attualmente in fase embrionale e sono oggetto di studio il potenziale, i vincoli tecnici e la possibile redditività di questo tipo di sistema, ma sono già state messe in campo le prime applicazioni concrete che consentiranno di analizzare gli eventuali vantaggi garantiti da questa forma di recupero energetico.
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A scommettere su tale forma di energia sostenibile è il Belgio dove sono già attivi alcuni impianti che adottano questa tecnologia. Il primo su larga scala è quello di Uccle. Durante i lavori di ristrutturazione delle fognature, nel comune meridionale della Regione di Bruxelles-Capitale sono stati installati scambiatori di calore per consentire di climatizzare, attraverso la riotermia, i cinque edifici amministrativi comunali che compongono il nuovo centro amministrativo di rue de Stalle che si estende per oltre 15mila metri quadrati.
Si stima che la struttura richieda un fabbisogno di picco di riscaldamento di 425 kW in inverno e di 475 kW di picco di raffreddamento in estate. Il progetto prevede una potenza installata di 120 kW grazie a 16 scambiatori da 6 metri che dovrebbero garantire la copertura del 21% del fabbisogno di raffrescamento, del 27% del fabbisogno di riscaldamento consentendo di ridurre le emissioni annue di CO2 di 60 tonnellate, con un coefficiente di valutazione energetica di 4,7.
Analizzando gli aspetti economici, l’investimento di 130mila euro dovrebbe essere recuperato in 15 anni (per approfondire i dati si può consultare “A Green Deal for water and sanitation utilities to rejuvenate the service delivery and financing model” di Maria Salvetti).
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di Letizia Palmisano
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