In Italia il sistema di raccolta degli indumenti usati è rappresentato da una filiera molto vasta in cui si interfacciano numerosi attori, nonché da canali differenti a cui far riferimento per il loro conferimento. Abbiamo da un lato la raccolta differenziata degli indumenti usati, per capirci il loro conferimento nei contenitori stradali: parliamo di rifiuti tessili da abbigliamento usato che, in base al decreto legislativo 152/2006, il cosiddetto Testo unico ambientale, che dopo una fase di selezione possono finire nel canale del riuso, riciclo o smaltimento.
Secondo ‘Italia del Riciclo 2020‘, il report annuale di Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e Fise Unicircular, in Italia il riutilizzo rappresenta circa il 68%, il riciclo il 29% mentre lo smaltimento il 3%. Ma è possibile dare seconda vita agli indumenti usati anche tramite canali alternativi alla raccolta differenziata: l’art. 14 della legge 166 del 2016 il conferimento presso associazioni a scopo benefico che si occupano di distribuirli a chi ne ha bisogno, abiti che quindi non sono considerati un rifiuto.
Lo scenario italiano descritto dai dati Ispra racconta di una raccolta differenziata della frazione tessile pari a quasi 160 mila tonnellate nel 2019, un incremento del 7,9% rispetto all’anno precedente. Si avviano a riciclo più abiti usati insomma, e c’è da scommettere che i numeri aumenteranno ancor più dopo il primo gennaio del prossimo anno, quando diventerà obbligatoria la raccolta differenziata della frazione tessile in tutta Italia, a seguito del recepimento della direttiva Ue 851/2018, in anticipo rispetto al termine del 2025 fissato dalla Commissione europea. Diverse le questioni che secondo Italia del Riciclo 2020, si dovranno affrontare avvicinandosi a questa data: la necessità di definire delle regole a supporto del criterio della responsabilità estesa del produttore (ovvero la norma, sancita appunto dalla direttiva 851/2018, che prevede che il produttore di un bene è responsabile anche alla fase post-consumo, ovvero della sua gestione una volta che il bene diventa un rifiuto, ndr) o un quasi inevitabile crollo dei prezzi e una maggiore difficoltà di collocare le raccolte sul mercato del riuso a causa dell’aumento dei volumi di rifiuti da abbigliamento usato in tutta Europa.
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